Le soglie metaboliche
Quando si parla di metodologia dell’allenamento, soprattutto per quanto riguarda gli sport di resistenza, ricorre molto spesso il termine “soglia” ed in particolare di “soglia anaerobica”. Al di là delle infinite considerazioni e delle migliaia di pagine scritte su questo argomento, è importante dare alcuni chiarimenti ed indicazioni pratiche.
Quando si parla di metodologia dell’allenamento, soprattutto per quanto riguarda gli sport di resistenza, ricorre molto spesso il termine “soglia” ed in particolare “soglia anaerobica”. Al di là delle infinite considerazioni e delle migliaia di pagine scritte su questo argomento, è importante dare alcuni chiarimenti ed indicazioni pratiche.
In realtà, esistono due soglie: quella aerobica e quella anaerobica. Per comprendere questa distinzione è opportuno fare riferimento alla fisiologia dell’esercizio fisico. Quando un qualsiasi essere umano comincia a muoversi, ed in particolare quando comincia a praticare un’attività fisica, il suo corpo produce una certa quantità di acido lattico. Questa sostanza, tanto temuta, è in realtà un meccanismo di difesa del nostro corpo. Quando, infatti, l’intensità dell’esercizio è molto alta e la durata supera un determinato lasso di tempo, l’incremento dei livelli di lattato rende l’ambiente muscolare acido e rende difficoltosi i meccanismi di contrazione al fine di difendere il muscolo stesso da possibili danni. In realtà, se l’esercizio è di bassa intensità, questa sostanza non crea alcun tipo di problema. In particolare, quando ci si trova ad agire in pieno regime aerobico, l’acido lattico viene prodotto, ma non si accumula, perché viene riconvertito, a livello epatico, in glucosio e diventa quindi una ulteriore fonte di energia. Tutto ciò accade, soprattutto, grazie ad una successione di reazioni chimiche (catena metabolica) definita “ciclo di Cori”. Ma cosa succede quando intensità e durata dell’esercizio sono maggiori? In questo caso la produzione di lattato diventa così veloce ed imponente che il fegato non fa in tempo a smaltirlo tutto cosicché ne inizia l’accumulo. In questa fase il meccanismo aerobico comincia a cedere il passo a quello anaerobico: in questo momento si colloca la “soglia anaerobica”. Mader, che fu uno studioso appassionato di tale aspetto della fisiologia dell’esercizio fisico, affermò, dopo aver eseguito migliaia di test su sportivi e non, che un soggetto si trovava a soglia quando la concentrazione di lattato a livello ematico era pari a 4 millimoli mentre, quando tale valore era di 2 millimoli, si parlava di “soglia aerobica”, di una fase, cioè, in cui l’apporto del meccanismo aerobico era sicuramente predominante. Su queste basi, egli creò anche un test (il test di Mader) tuttora utilizzato nella valutazione funzionale degli atleti. In realtà, successivamente, si vide che tali valori non erano validi per tutti e che, soprattutto determinate tipologie di atleti (canoisti, praticanti canottaggio), nella fase di “soglia”, presentavano concentrazioni di lattato molto maggiori.
E’ importante, a questo punto, capire perché sia fondamentale determinare a che intensità di esercizio si colloca la “soglia anerobica”. Quando si vuole creare un programma di allenamento personalizzato, il parametro “soglia” rappresenta un punto di riferimento in base al quale è possibile calcolare i ritmi di allenamento; stabilire, cioè, a che velocità devono essere svolte le varie tipologie di prove, al fine di agire su determinate componenti e non su altre. Quelle velocità vengono individuate prendendo come punto di partenza proprio la “soglia anaerobica”, un po’ come si fa nell’allenamento della forza con sovraccarichi, dove è importante individuare la cosiddetta 1RM (ripetizione massima) per ciascun esercizio, al fine di poter dosare i carichi di lavoro.
Buona corsa!