Cuore d’atleta
L’allenamento e la pratica sportiva, in generale, inducono, nell’apparato cardiocircolatorio di un atleta, tutta una serie di modificazioni che, nel loro insieme, vengono definite “cuore d’atleta” o “sindrome del cuore d’atleta”.
L’allenamento e la pratica sportiva, in generale, inducono, nell’apparato cardiocircolatorio di un atleta, tutta una serie di modificazioni che, nel loro insieme, vengono definite “cuore d’atleta” o “sindrome del cuore d’atleta”. Tali cambiamenti rientrano nella categoria degli “adattamenti” all’esercizio fisico, di tutte quelle modificazioni, cioè, che hanno la caratteristica di essere permanenti fino a quando il soggetto continua ad allenarsi.
In particolare, l’adattamento cardiaco più importante ed evidente è l’ipertrofia ventricolare, soprattutto della parte sinistra, che si instaurerebbe in conseguenza dell’aumentata forza di contrazione sistolica durante lo sforzo ed all’aumento, in corso di attività fisica, della portata cardiaca, che può raggiungere anche i 30 litri al minuto, oltre che della pressione sistolica. L’aumento della forza per unità di superficie del miocardio ed il conseguente aumento del dispendio energetico del cuore, sarebbero responsabili di una stimolazione del sistema DNA-RNA delle cellule cardiache che indurrebbe una maggiore sintesi proteica da parte di queste ultime, con conseguente ipertrofia. Sarebbe anche importante l’azione di diversi ormoni tra i quali il GH, gli ormoni tiroidei, gli androgeni e l’insulina.
C’è, tuttavia, da fare una distinzione tra atleti praticanti sport di potenza e quelli che invece si dedicano all’endurance. Nei primi, infatti, il rimodellamento cardiaco è caratterizzato principalmente da un aumento di spessore delle pareti ventricolari che, in atleti allenati, possono arrivare anche a misurare 16 mm, praticamente il limite fisiologico. In coloro i quali, invece, praticano sport di resistenza si verifica una dilatazione della cavità ventricolare che può raggiungere valori compresi tra i 50 ed i 70 mm. Tali valori possono alle volte portare a sospettare una patologia cardiaca (cardiomiopatia dilatativa) ma va detto che l’ipertrofia benigna ha caratteristiche di simmetria ed omogeneità che non si presentano in caso di situazioni non fisiologiche. Tutti questi fenomeni, infine, assumono entità diversa in relazione al sesso dell’atleta. Le donne, infatti, presentano valori decisamente inferiori a quelli degli uomini e questo a causa di numerosi fattori che influiscono sui processi di adattamento all’esercizio fisico.
Il “cuore d’atleta” è un mondo variegato nel quale si possono riscontrare “soffi” e insufficienze valvolari fisiologiche che vanno attenzionate dal medico sportivo e tenute sotto controllo ma che generalmente non destano preoccupazioni. Così come non deve preoccupare la “bradicardia sinusale” dell’atleta ben allenato che, a riposo, può avere una frequenza cardiaca inferiore ai 40 battiti al minuto. In assenza di altra sintomatologia, infatti, questo fenomeno è da considerarsi un adattamento all’allenamento fisico di alta intensità.
In conclusione, bisogna precisare che è, sempre e comunque, opportuno sottoporsi a controlli periodici del medico sportivo ai fini di una valutazione il più possibile completa e valida della condizione del proprio cuore. Le sfortunate esperienze di diversi atleti, anche ben allenati e di alto livello agonistico, debbono essere un monito in tal senso.