Giuseppe D’Urso argento 20 anni fa a Stoccarda
Una medaglia ai Mondiali inaspettata, colta il 17 agosto 1993 in una gara intensa, intelligente e senza una sbavatura. Una data che rimarrà scolpita nel palmarès dell’atletica italiana, il catanese in una lotta concitata con i keniani, giustiziò il favorito Billy Konchellah (solo terzo in 1’44”89), ma dovette soccombere alla lepre Paul Ruto, 1’44”86 contro 1’44”71. Articolo scritto da Michelangelo Granata.
Sono trascorsi vent’anni dalla conquista dell’argento di Giuseppe D’Urso negli 800 metri ai Mondiali di Stoccarda, un rettilineo finale tutto da rivivere. Il glorioso Neckarstadion, ristrutturato per l’occasione e ribattezzato Gottlieb-Daimler-Stadion in omaggio ai padri della Mercedes, orgoglio della zona, offrì una sede ideale per questa quarta edizione dei Campionati. 187 i Paesi in lizza e 1689 il numero degli atleti partecipanti (1689), anche se rimase imbattuta la cifra record di Roma 1987 (1741). Gli Stati Uniti approfittarono della diaspora tra le repubbliche della ex-Unione Sovietica e incrementarono il loro tradizionale vantaggio con 25 medaglie (di cui 13 d’oro), davanti alla Russia con 16 (tre ori). Era il 17 agosto 1993 e il fantastico argento di Giuseppe D’Urso esalta ancora, a vent’anni di distanza, la nostra atletica. Una medaglia inaspettata, colta in una gara intensa, intelligente e senza una sbavatura. Una data che rimarrà scolpita nel palmarès dell’atletica italiana, il catanese in una lotta concitata con i keniani, giustiziò il favorito Billy Konchellah (solo terzo in 1’44”89), ma dovette soccombere alla lepre Paul Ruto, 1’44”86 contro 1’44”71.
Alla prima grande finale della sua vita, il nostro campione non si perde d’animo, Ruto schizza via allo sparo, l’azzurro è quinto alle spalle degli inglesi Curtis Robb e Tom McKean, il canadese Freddie Williams, dietro il campione olimpico William Tanui, mentre il favorito Konchellah trotta nelle retrovie. Ruto passa ai 400 in 51”22, ai 600 parte Williams per poi spegnersi, D’Urso corre all’esterno, alla sua sinistra gli inglesi e Tanui. Volata da favola, l’azzurro compie il capolavoro negli ultimi 120 metri, si beve gli avversari, da quarto passa a secondo, Ruto è a tiro. Konchellah si scuote ma il catanese tiene e resiste al ritorno del «principe masai». Strappa con i denti l’argento, soltanto quindici centesimi lo separano da Ruto e appena tre lo riparano da Konchellah (1’44”89). Giuseppe dopo l’arrivo è incredulo, quasi non si capacita, ma non si deve svegliare da nessun sogno, quel gradino in cima all’élite mondiale gli appartiene di diritto.
D’Urso è stato l’unico medagliato catanese in una rassegna “globale”. Nella storia del mezzofondo veloce quattro italiani sono saliti sul podio ai Giochi Olimpici o ai Campionati Mondiali: Emilio Lunghi, Luigi Beccali, Mario Lanzi, Giuseppe D’Urso. Luigi Beccali ha vinto l’unico oro azzurro sui 1500 metri a Los Angeles 1932, aprendo una nuova frontiera per l’Italia nelle medie distanze. Quattro anni dopo il milanese colse a Berlino il bronzo olimpico sempre nei 1500. Negli 800 tre gli argenti splendenti degli azzurri: Emilio Lunghi, il primo grande della nostra atletica, a Londra 1908; Mario Lanzi, l’atleta dai traguardi mancati, a Berlino 1936; Giuseppe D’Urso a Stoccarda 57 anni dopo. Negli ultimi venti anni del XX secolo e in questo nuovo millennio l’Italia ha avuto quattro ottocentisti di buon valore internazionale. Il primo ad apparire sulla scena è stato il potentino Donato Sabia nel 1980, poi fu la volta di Andrea Benvenuti e Giuseppe D’Urso (amici per la pelle e quasi coetanei, più piccolo di tre mesi il veronese) e infine Andrea Longo.
Claudio Colombo sul Corriere della Sera definì l’argento di Giuseppe D’Urso: «Un sorso d’aria pura». E Andrea Schiavon sulla rivista «atletica» ha scritto: “Pensate a come sarebbero otto corsie che, partendo da Emilio Lunghi e Mario Lanzi e passando per Marcello Fiasconaro, Donato Sabia e Andrea Longo, arrivassero sino a Giordano Benedetti. In questa gara della memoria due corsie buone, di quelle centrali, spetterebbero di diritto a Giuseppe D’Urso e Andrea Benvenuti, due campioni le cui vite continuano ad incrociarsi ancora adesso, che sono passati vent’anni dalla finale Mondiale di Stoccarda”.
Articolo di Michelangelo Granata