La corsa del futuro: individuale, virtuale e solidale
La corsa, come tante altre dimensioni della nostra vita, esce dalla pandemia con maggiore consapevolezza e umiltà. Parole impegnative. La consapevolezza ci fa comprendere il beneficio che l’attività sportiva porta nella nostra vita quotidiana.
Il 4 maggio è stata una data attesa da tanti italiani e da tanti podisti. I cambiamenti non sono stati sostanziali, ma per chi corre c’è stata la possibilità di allontanarsi da casa ed entrare nei parchi o nel territorio comunale confinante. Abbiamo ripreso a solcare strade seguendo con attenzione le norme previste nella “fase 2”, a cominciare dall’evitare gli assembramenti e tenere la necessaria distanza.
In questi giorni cerchiamo risposta a due domande che si rincorrono e in parte sovrappongono.
Come esce la corsa da questo periodo di chiusura forzata e inaspettata?
La seconda domanda potrebbe essere: quale e come sarà il futuro della corsa a piedi?
La chiusura di strade, parchi, impianti sportivi, ha messo ruggine nelle gambe che va smaltita. Molti hanno corso nei giardini di casa, sui balconi, in piccoli parcheggi. I più fortunati su un tapis roulant (le case costruttrici hanno avuto un’impennata di vendite). Parecchi podisti si sono dedicati ad allenamenti di forza soprattutto per gambe e addominali. Potremmo dire che, da un punto di vista fisiologico, c’è molto da ricostruire. Con l’umiltà e la pazienza esercitate in tante occasioni, i podisti si rimettono a lavorare per raggiungere un livello di forma accettabile.
La corsa, come tante altre dimensioni della nostra vita, esce dalla pandemia con maggiore consapevolezza e umiltà. Parole impegnative. La consapevolezza ci fa comprendere il beneficio che l’attività sportiva porta nella nostra vita quotidiana. La corsa è inserita nello schema ordinario della vita di un podista come lo sono il lavoro, il riposo, gli affetti, l’alimentazione… Viene programmata nei piani settimanali come punto importante, non occasionale. Consapevolezza rimanda a responsabilità, perché questo bene possa durare nel tempo.
Per questo, nella fase di ripresa una parola chiave sarà “gradualità”: ci vorrà almeno un mese per raggiungere i livelli di forma del mese di febbraio. La pandemia ci fa riflettere anche sull’umiltà, virtù sempre necessaria in tutti i settori della vita umana. Non siamo invincibili o immortali, cerchiamo di fare del nostro meglio e di ripartire dopo ogni caduta dalla quale è utile imparare. Anche dalla recente caduta, questa volta globale, impariamo a mettere più ordine nella gerarchia dei valori.
Possiamo anche domandarci quale sarà il futuro della corsa? Come saranno le competizioni? Se lo è chiesto anche Cesare Monetti sul “Corriere dello sport” del 30 aprile anticipando un documento della Fidal dal titolo “L’Italia torna a correre”. Notiamo il sottotitolo che è forse ancora più interessante del titolo: “Sicuri e liberi, perché correre è una richiesta sociale per stare bene”.
In questa fase di ripresa ci sembrano rintracciabili almeno due dimensioni. Anzitutto quella individuale. Uno dei diktat delle settimane passate (e dei prossimi tempi) è stato il distanziamento interpersonale. Bisogna correre rigorosamente da soli. Chi non è abituato farà fatica, sia in allenamento che in gara. Ci mancheranno le uscite in gruppo, occasione di condivisione, sorrisi e sostegno. Mancherà la scia di chi corre davanti a noi nel corso della gara. Ancor di più il podista vivrà la “solitudine del maratoneta”, ma va bene così. Gli sport di squadra saranno decisamente più penalizzati soprattutto se giocati al coperto.
Un secondo aspetto della corsa del futuro è probabilmente la dimensione virtuale. Negli ultimi 40 giorni abbiamo assistito al moltiplicarsi di proposte di gare virtuali, spesso abbinate ad iniziative solidali per la raccolta fondi in favore di ospedali o enti impegnati nella lotta all’infezione da Covid-19. Il volume del virtuale (le comunicazioni sociali via Internet) è cresciuto parecchio, ce lo dicono anche i dati dei fornitori della rete Internet. Dovremo tenerlo presente per il futuro delle relazioni e della pratica sportiva.
In una gara virtuale conta meno la prestazione cronometrica e si sperimenta forse una maggiore solidarietà. Conta il sentirsi uniti nonostante la distanza, il correre per una causa nobile. Per questo motivo, nei prossimi mesi sarà probabilmente meno importante misurarsi con il cronometro, con la competizione a tutti i costi, con gli avversari e i podi. Sarà utile concentrarci maggiormente sulla pratica sportiva, sulla comunità dei runner, sulla solidarietà. La pandemia da coronavirus si sta delineando come una purificazione planetaria. Anche la corsa a piedi può trarre qualche beneficio da questo processo.