La corsa purificata dal Covid-19
Se ne va un anno terribile che ricorderemo e citeremo a lungo in futuro. Cosa ha detto il coronavirus al mondo del running? In cosa lo ha messo in crisi?
La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione il delirio di onnipotenza e di invincibilità che spesso hanno i runners. E’ stata una sorta di infortunio collettivo, un incontro con il limite. E si sa che il runner infortunato diventa più umile, sensibile, più umano… Capisce che deve avere equilibrio e che non tutto sta nelle sue mani, ma deve mettersi nelle mani di altri (medici, fisioterapisti…), e possibilmente anche di un Altro che governa il mondo. Il corpo è un dono e ha dei limiti che bisogna rispettare.
La pandemia ha contestato l’individualismo facendoci riscoprire comunità. In uno sport individuale per eccellenza come la corsa a piedi, abbiamo recuperato un certo spirito di squadra. Al di là del distanziamento fisico, si sono rotti recinti che separavano mondi (ad esempio i forti e gli scarsi) per riscoprirci ancora di più il ‘popolo del running’. Si è trovata, forse, una comunicazione più sana dove tutti hanno possibilità di espressione e ascolto. Una disponibilità al dialogo più ampio dei singoli orizzonti di sempre, che dà spazio alla sorpresa e alla solidarietà.
La pandemia ha contestato anche una presunzione che porta spesso gli sportivi a dare tutto per scontato: scansione degli allenamenti, programmazione della stagione agonistica, scelta delle gare alle quali partecipare, acquisti da fare… Oppure avere la pretesa (che è un’illusione) di conoscere tutto su argomenti come: i programmi di allenamento, la tecnica di corsa, l’alimentazione… Una rivoluzione che ha trovato disponibili e felici i più flessibili e che invece ha disturbato (molto) i ‘seriali’ e i ‘seriosi’ del running.
La pandemia ci spinge forse a pensare ad un nuovo modello per lo sport che amiamo. Dove niente è scontato, dove le pretese devono essere ragionevoli e dove l’elemento umano conta infinitamente di più di ogni altro criterio. E’ sollecitata la responsabilità individuale come presupposto per un futuro migliore: un’etica del running che rende sensato il nostro sport e la vita stessa.
Insomma vizi sociali e sportivi, prassi spesso malsane, che l’emergenza sanitaria ha smascherato innescando un cammino verso il sano, l’essenziale, l’umano. Forse è utile tenere presente queste lezioni anche nel futuro che ci attende.
“Diciamo che io all’inferno non ci sono stato. Ma ho visto com’è fatto. E come potrete immaginare, non mi è piaciuto neanche un po’, voglio starne alla larga. – scriveva due anni fa Federico Mancin, autore di Corri che ti passa: se devi ripartire, fallo correndo, nel quale racconta di come la corsa l’abbia guarito dal “male di vivere”. E chiudeva, come chiudiamo anche noi il bilancio di quest’anno: La terapia del running deve proseguire”.